Una delle analisi più diffuse, soprattutto all’interno degli stessi ambienti vicini al Pd di Veltroni, è che la sinistra abbia perso le precedenti elezioni perché lontana dal popolo e contigua alle diverse caste che caratterizzano l’Italia d’oggigiorno.
Caratteristica che denoterebbe una certa continuità con alcuni tratti di uno dei progenitori del Pd, il Partito comunista italiano. Togliatti aveva sempre tenuto in massima considerazione gli intellettuali e i professori così come aveva sempre evitato che il Pci assumesse un carattere schiettamente popolare o popolaresco, come alcuni partiti socialdemocratici europei. Il rapporto del Pci con l’Università è sempre stato molto stretto, l’affermazione che gran parte del mondo accademico sia vicino politicamente e culturalmente alla sinistra è un luogo comune quasi come quello di dire che alla Rai sono tutti di sinistra. Non sorprende quindi la reazione delle élite accademiche e del Pd ai progetti di riforma dell’Università, per il momento a dire il vero solo immaginati. Non ci si deve meravigliare nel vedere il partito che dovrebbe difendere i ceti svantaggiati salire sulle barricate con i rettori e i professori ordinari. Certo sia il Pd che la Cgil negherebbero pur sotto tortura ogni intenzione conservatrice e di difesa verso una delle caste più potenti del paese, ma di ciò si tratta nella realtà dei fatti. La scuola rimane uno dei principali bacini elettorali del Pd e la contestazione della riforma Gelmini casca come il cacio sui maccheroni per un partito asfittico, in difficoltà nel proporre politiche alternative, ma soprattutto per un leader traballante come Veltroni.
Insieme con il ritorno alla piazza quale luogo principale in cui esercitare l’opposizione, finita la fase del confronto, il sostegno alla contestazione studentesca fa parte di una strategia che il direttore de “Il Mulino”, storico brain trust del centro sinistra, Edmondo Berselli ha definito quale populismo di sinistra. Forse l’unica via per un partito costretto a una lunga opposizione. L’annunciato referendum contro il decreto Gelmini, criticato e definito inutile da molti esponenti di primo piano del Pd, è la riprova di questa scelta strategica. Da un lato si scorge il tentativo di riallacciare i contatti con una parte della società italiana, sensibile ai miti della scuola di stato egualitaria e sinceramente democratica, e dall’altro si cerca di serrare le truppe, recalcitranti, intorno al sempre giovane segretario.
Va notato come anche il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, abbia intrapreso, in perfetto sincrono, la stessa svolta populista. Il sindacato è uno dei soggetti forti all’interno del mondo della scuola e dell’università, in grado di limitare o di far saltare tutti i tentativi di riforma degli ultimi anni. Dal vecchio compagno Luigi Berlinguer fino alla Moratti, passando per Mussi, tutti si sono scontrati con il sindacato, il cui permesso preventivo è il lasciapassare necessario di ogni decisione sulla scuola. Cgil, come ripetuto negli ultimi giorni dai segretari di Cisl e Uil, che ormai ha smesso di fare il sindacato, non rientrando più l’accordo con le controparti tra i suoi obiettivi di fondo.
In comune i due soggetti della sinistra hanno una complicata mappa delle diverse anime politiche che le compongono. Se per il segretario del Pd l’opzione populista e il ritorno all’antiberlusconismo è funzionale a preservare la leadership per Epifani la protesta seriale è necessaria a evitare che la Cgil si divida sugli accordi e vada in frantumi. Il risultato è l’immobilismo, il rifiuto di trovare soluzioni ai vari problemi che si pongono ai due soggetti principali della sinistra italiana.
In mezzo a questa tenaglia politica si trovano gli studenti e le necessarie riforme della scuola e dell’università, strumentalizzati ancora una volta per interessi di parte.
Caratteristica che denoterebbe una certa continuità con alcuni tratti di uno dei progenitori del Pd, il Partito comunista italiano. Togliatti aveva sempre tenuto in massima considerazione gli intellettuali e i professori così come aveva sempre evitato che il Pci assumesse un carattere schiettamente popolare o popolaresco, come alcuni partiti socialdemocratici europei. Il rapporto del Pci con l’Università è sempre stato molto stretto, l’affermazione che gran parte del mondo accademico sia vicino politicamente e culturalmente alla sinistra è un luogo comune quasi come quello di dire che alla Rai sono tutti di sinistra. Non sorprende quindi la reazione delle élite accademiche e del Pd ai progetti di riforma dell’Università, per il momento a dire il vero solo immaginati. Non ci si deve meravigliare nel vedere il partito che dovrebbe difendere i ceti svantaggiati salire sulle barricate con i rettori e i professori ordinari. Certo sia il Pd che la Cgil negherebbero pur sotto tortura ogni intenzione conservatrice e di difesa verso una delle caste più potenti del paese, ma di ciò si tratta nella realtà dei fatti. La scuola rimane uno dei principali bacini elettorali del Pd e la contestazione della riforma Gelmini casca come il cacio sui maccheroni per un partito asfittico, in difficoltà nel proporre politiche alternative, ma soprattutto per un leader traballante come Veltroni.
Insieme con il ritorno alla piazza quale luogo principale in cui esercitare l’opposizione, finita la fase del confronto, il sostegno alla contestazione studentesca fa parte di una strategia che il direttore de “Il Mulino”, storico brain trust del centro sinistra, Edmondo Berselli ha definito quale populismo di sinistra. Forse l’unica via per un partito costretto a una lunga opposizione. L’annunciato referendum contro il decreto Gelmini, criticato e definito inutile da molti esponenti di primo piano del Pd, è la riprova di questa scelta strategica. Da un lato si scorge il tentativo di riallacciare i contatti con una parte della società italiana, sensibile ai miti della scuola di stato egualitaria e sinceramente democratica, e dall’altro si cerca di serrare le truppe, recalcitranti, intorno al sempre giovane segretario.
Va notato come anche il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, abbia intrapreso, in perfetto sincrono, la stessa svolta populista. Il sindacato è uno dei soggetti forti all’interno del mondo della scuola e dell’università, in grado di limitare o di far saltare tutti i tentativi di riforma degli ultimi anni. Dal vecchio compagno Luigi Berlinguer fino alla Moratti, passando per Mussi, tutti si sono scontrati con il sindacato, il cui permesso preventivo è il lasciapassare necessario di ogni decisione sulla scuola. Cgil, come ripetuto negli ultimi giorni dai segretari di Cisl e Uil, che ormai ha smesso di fare il sindacato, non rientrando più l’accordo con le controparti tra i suoi obiettivi di fondo.
In comune i due soggetti della sinistra hanno una complicata mappa delle diverse anime politiche che le compongono. Se per il segretario del Pd l’opzione populista e il ritorno all’antiberlusconismo è funzionale a preservare la leadership per Epifani la protesta seriale è necessaria a evitare che la Cgil si divida sugli accordi e vada in frantumi. Il risultato è l’immobilismo, il rifiuto di trovare soluzioni ai vari problemi che si pongono ai due soggetti principali della sinistra italiana.
In mezzo a questa tenaglia politica si trovano gli studenti e le necessarie riforme della scuola e dell’università, strumentalizzati ancora una volta per interessi di parte.
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