mercoledì 26 novembre 2008

Petites historias das crianças


"Petites historias das criancas - Viaggio nel mondo di Inter Campus"
is a new documentary directed by Gabriele Salvatores, the Italian film maker who received an Oscar for the movie “Mediterraneo”.
This is a different type of film, but what remains the same is the capacity to allow the people dream. The dreamers are the stars of the movie and all the kids. All of them are from poor countries where dreaming is the only thing to do. They are surrounded by war, disease and poverty. These are strong kids. They are always ready to play and give us a smile...







venerdì 14 novembre 2008

2008 Solstice Parade in Seattle

Naked in Seattle



Ieri Liz mi parlava dell'eventualità di trasferirsi da Portland a Seattle, dato il difficile momento dell'economia americana. Seattle e' una città molto bella con un mercato sul mare, The Pike Place Market, che ricorda vagamente quelli italiani, anche perché, come commemora una lapide, il successo di questo luogo caratteristico lo si deve anche a Giuseppe De Simone che ne stabilì le regole e ne curò la gestione dal 1926 al 1946.
Portland e' una città altrettanto bella, ma avrò tempo per parlarne.
Stamattina, ripensandoci, m'imbatto in una notizia particolare, che rende bene l'idea del modo di vivere e pensare della West Coast americana. Pare che l'autorità di controllo, Seattle Parks and Recreation, voglia vietare di girare nudi, o di stare fermi sempre nudi, nei parchi cittadini. Certo, perché a Seattle e’ normale imbattersi mentre si passeggia nel parco, sempre se non piova come capita spesso, nei naturisti che magari fanno un barbecue o giocano a pallavolo nudi. Così come capita d’incrociarli in bicicletta, nudi. Ora per noi italiani, ma anche per gli americani delle altre zone, questa vista lascia prima perplessi e poi magari divertiti, i bambini ridono, alcuni ragazzi fischiano, ovviamente per approvazione come si usa negli States, gli anziani abbozzano sorrisi divertiti. Ora pare che tutto debba volgere al termine e la tollerante Seattle non avrà più parchi liberi al nudismo. Si, perché al di fuori dei parchi non cambia niente e non essendo la nudità un reato si potrà continuare a fare feste private in piscina per soli naturisti o partecipare al Fremont Fair, ovviamente nudi e in bicicletta!

venerdì 7 novembre 2008

Veltroni, Epifani e gli studenti



Una delle analisi più diffuse, soprattutto all’interno degli stessi ambienti vicini al Pd di Veltroni, è che la sinistra abbia perso le precedenti elezioni perché lontana dal popolo e contigua alle diverse caste che caratterizzano l’Italia d’oggigiorno.
Caratteristica che denoterebbe una certa continuità con alcuni tratti di uno dei progenitori del Pd, il Partito comunista italiano. Togliatti aveva sempre tenuto in massima considerazione gli intellettuali e i professori così come aveva sempre evitato che il Pci assumesse un carattere schiettamente popolare o popolaresco, come alcuni partiti socialdemocratici europei. Il rapporto del Pci con l’Università è sempre stato molto stretto, l’affermazione che gran parte del mondo accademico sia vicino politicamente e culturalmente alla sinistra è un luogo comune quasi come quello di dire che alla Rai sono tutti di sinistra. Non sorprende quindi la reazione delle élite accademiche e del Pd ai progetti di riforma dell’Università, per il momento a dire il vero solo immaginati. Non ci si deve meravigliare nel vedere il partito che dovrebbe difendere i ceti svantaggiati salire sulle barricate con i rettori e i professori ordinari. Certo sia il Pd che la Cgil negherebbero pur sotto tortura ogni intenzione conservatrice e di difesa verso una delle caste più potenti del paese, ma di ciò si tratta nella realtà dei fatti. La scuola rimane uno dei principali bacini elettorali del Pd e la contestazione della riforma Gelmini casca come il cacio sui maccheroni per un partito asfittico, in difficoltà nel proporre politiche alternative, ma soprattutto per un leader traballante come Veltroni.
Insieme con il ritorno alla piazza quale luogo principale in cui esercitare l’opposizione, finita la fase del confronto, il sostegno alla contestazione studentesca fa parte di una strategia che il direttore de “Il Mulino”, storico brain trust del centro sinistra, Edmondo Berselli ha definito quale populismo di sinistra. Forse l’unica via per un partito costretto a una lunga opposizione. L’annunciato referendum contro il decreto Gelmini, criticato e definito inutile da molti esponenti di primo piano del Pd, è la riprova di questa scelta strategica. Da un lato si scorge il tentativo di riallacciare i contatti con una parte della società italiana, sensibile ai miti della scuola di stato egualitaria e sinceramente democratica, e dall’altro si cerca di serrare le truppe, recalcitranti, intorno al sempre giovane segretario.
Va notato come anche il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, abbia intrapreso, in perfetto sincrono, la stessa svolta populista. Il sindacato è uno dei soggetti forti all’interno del mondo della scuola e dell’università, in grado di limitare o di far saltare tutti i tentativi di riforma degli ultimi anni. Dal vecchio compagno Luigi Berlinguer fino alla Moratti, passando per Mussi, tutti si sono scontrati con il sindacato, il cui permesso preventivo è il lasciapassare necessario di ogni decisione sulla scuola. Cgil, come ripetuto negli ultimi giorni dai segretari di Cisl e Uil, che ormai ha smesso di fare il sindacato, non rientrando più l’accordo con le controparti tra i suoi obiettivi di fondo.
In comune i due soggetti della sinistra hanno una complicata mappa delle diverse anime politiche che le compongono. Se per il segretario del Pd l’opzione populista e il ritorno all’antiberlusconismo è funzionale a preservare la leadership per Epifani la protesta seriale è necessaria a evitare che la Cgil si divida sugli accordi e vada in frantumi. Il risultato è l’immobilismo, il rifiuto di trovare soluzioni ai vari problemi che si pongono ai due soggetti principali della sinistra italiana.
In mezzo a questa tenaglia politica si trovano gli studenti e le necessarie riforme della scuola e dell’università, strumentalizzati ancora una volta per interessi di parte.

giovedì 30 ottobre 2008

I frutti avvelenati

Università, contestazione e frutti avvelanati

La dura contestazione al provvedimento del ministro della Pubblica Istruzione, Maristella Gelmini, da parte di una componente del mondo della scuola e dell’università spalleggiata dall’opposizione ha prodotto il suo frutto avvelenato, la violenza tra le opposte fazioni. Quando pareva che la lunga guerra civile tra italiani fosse definitivamente archiviata e relegata alle discussioni tra specialisti e storici, ecco di nuovo spuntare vecchi fantasmi. Le vittime spesso ignare e inconsapevoli di tutto ciò sono i ragazzi, pettinati e adulati da alcuni quotidiani in cerca di nuovi lettori e da partiti in cerca di linfa vitale e disposti per questo a tutto, anche a riesumare mostri del passato come la superiorità culturale e morale di una parte del paese sull’altra. Ricordiamolo quindi ai ragazzi che occupano e protestano, sicuramente in buona fede, ma spesso e purtroppo sulla base di notizie distorte o di vere e proprie panzane ripetute in continuazione al fine di farle sembrare vere, che la violenza seguita al movimento del ’68 ha portato l’Italia sul baratro del terrorismo degli anni di piombo e ha reso impossibile, per il clima prodottosi, ogni riforma del sistema politico basata su consensi bipartisan.
Urge disinnescare la nuova potenziale minaccia. La crisi internazionale incombente, i problemi arretrati e le tensioni che si produrranno nei prossimi mesi possono generare un cocktail esplosivo e forse letale. E’ necessario che i leader politici assumano le proprie responsabilità e che i ragazzi evitino di trasformarsi in burattini, ma diventino i protagonisti del loro futuro. Il terreno di una possibile intesa - una condivisione d’interessi comuni sicuramente temporanea e parziale poiché non c’è la pretesa che arrivino a pensarla alla stessa maniera su passato e futuro - va trovata sul terreno concreto dei problemi attuali. Vogliono, gli studenti che si oppongono al decreto Gelmini, il perpetuarsi di una scuola e di una università fallimentare? Vogliono difendere i privilegi e le porcherie che da decenni caratterizzano l’accademia? Nessuno lo crede.
La necessaria riforma dell’università e della scuola di Stato dovrebbe essere l’obiettivo comune agli studenti, ma anche a tutti coloro che auspicano un reale cambiamento. Una rivoluzione copernicana. Non più un sistema educativo pensato in funzione dei suoi dipendenti, docenti e non, ma sulle esigenze dei fruitori e dei contribuenti, gli studenti e le loro famiglie. Di più, un accordo su queste basi e una contestazione comune degli studenti potrebbe produrre un risultato ancora più rivoluzionario, quel cambiamento generazionale e complessivo che solo forse potrebbe avviare il paese a una stagione di riforme profonde e feconde, dal sistema politico a quello economico. Infatti, i mali dell’Università non sono avulsi da quelli generali del paese. Un sindacato corporativo che difende esclusivamente gli insider e abbandona a se stessi coloro che non rientrano nelle categorie del lavoro dipendente e subordinato, in concreto le generazioni dei ventenni, trentenni e molti quarantenni. Una casta d’intoccabili e privilegiati, i professori ordinari in questo caso, strapagati non per meriti conseguiti ma per anzianità. Lavoratori dipendenti iperprotetti, non sottoposti ad alcun controllo sulla qualità del loro lavoro, anzi, la maggior parte di loro si limita a fare lobby per “aggiustare” i concorsi e non fa ricerca da quando ha acquisito la posizione a vita. Un dato eclatante è il rapporto tra lo stipendio degli ordinari e quello dei ricercatori in Italia e nei vituperati Stati Uniti. Da noi, paese simbolo e guida dei diritti degli ultimi, è di 4.5 a 1, nel regno delle disuguaglianze e dello sfruttamento è di 1.5 a 1. Noi strapaghiamo l’anzianità e il privilegio, loro la ricerca. Vogliono, gli studenti, continuare ad avere il sistema feudale che governa la ricerca? L’università truccata descritta dal libro del professor Roberto Perotti, docente alla Columbia University di New York e alla Bocconi di Milano, è la realtà mentre molte delle contestazioni che hanno portato gli studenti in piazza sono semplici e vecchi slogan che si tramandano di generazione in generazione. Le inchieste sulle frodi nei concorsi cominciano a farsi, sono più di cento gli indagati, ma l’impunità resta perché finora nessuno dei vincitori è stato rimosso e nessuno dei colpevoli ha mai pagato.
Ecco un possibile terreno di lotta: bloccare l’attuale sistema di reclutamento dei docenti basato sui concorsi truccati. Sono un costo enorme, economico e morale, che non è più sostenibile. Nei prossimi mesi saranno circa settemila i concorsi di questo tipo e per posti a tempo indeterminato, il che significa che peseranno a vita sul portafoglio, e non solo, dei contribuenti.
La contestazione al ministro Gelmini è funzionale anche ai rettori che così potranno evitare di dare giustificazioni circa lo stato fallimentare degli atenei italiani. Se più del 90% delle risorse è assorbito dagli stipendi, che spazio può restare alla ricerca? Nessuno. Ecco perché il taglio dei fondi, come detto anche da Umberto Eco, docente non sospettabile di simpatie berlusconiane, non colpisce gli studenti e i ricercatori ma i baroni.
L’Università di massa e gratuita italiana, come dimostra nel suo libro Perotti, non è assolutamente egualitaria e la disuguaglianza non è certo a favore delle classi più deboli. Al contrario, il confronto con uno degli stereotipi preferiti dei mestatori e dei burattinai della protesta, gli Stati Uniti, è disarmante: da noi solo l’8% dei laureati proviene dalle fasce meno abbienti contro il 15% degli States. Grazie a uno dei pilastri del malfunzionamento della scuola italiana di Stato, il valore legale del titolo di studio, una laurea ottenuta in un’università seria dove si studia molto e si fa ricerca equivale a quella ottenuta in uno dei tanti atenei dispensatori di corsi inutili e diplomi facili. Il risultato è la svalutazione ulteriore del titolo conseguito e dei sacrifici fatti dalle famiglie più povere per mandare i figli a scuola.
L’invito è a riflettere sui problemi concreti e sulle soluzioni non più procrastinabili. Al decreto Gelmini deve seguire una riforma radicale del sistema scolastico e gli studenti devono essere i primi a volerlo, nel proprio interesse. Abolizione del valore legale del titolo di studio e concorrenza tra gli atenei per offrire ai giovani scelte basate sulla qualità dell’insegnamento: contratti a termine per i professori con controlli periodici sulla qualità del lavoro e della ricerca svolta, ma soprattutto cancellare l’infamia dell’accesso alle carriere tramite i concorsi truccati. Non è solo un danno economico e un reato, è anche una forma subdola di sfruttamento del lavoro altrui ampiamente diffusa. Si approfitta dell’ingenuità dei giovani dottorandi e ricercatori che svolgono di fatto le ricerche che il docente, impegnato in ben più “nobili” attività di lobby, non ha tempo né voglia di fare. Ma si arriva anche i casi di ricercatori autisti o che vanno a fare le spesa per chi controlla il loro futuro. Servaggio e feudalità vergognose. Alla fine, dato l’alto numero di pretendenti alle cattedre, molti aspiranti sprecano il proprio talento, e buona parte della loro vita, in attesa del concorso pilotato che mai arriverà.